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Comune di Torrebelvicino

Provincia Vicenza - Regione del Veneto


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Cenni storici


Dal 177 A.C. ai nostri giorni

Il territorio di Torrebelvicino ( 20.81 kmq. ) è delimitato a Nord Est dal Monte Enna ( m. 975 ), a sud ovest dal Monte Cengio ( m. 840 ).

I più antichi progenitori dell'attuale popolazione di Torrebelvicino dei quali si abbia notizia sono i Reti, gli abitanti delle valli e dei monti presenti in tutte le Alpi centro-orientali; il loro centro religioso sorgeva a Magrè dove, sulla collina del Castello, furono trovate corna di cervo con incise iscrizioni. Secondo una recente interpretazione, il suffisso "-belvicino" si potrebbe far risalire alla lingua dei Reti e significherebbe "luogo sacro vicino a conca rigogliosa d'acqua".

Nel 177 a. C. il Veneto divenne dominio di Roma: iniziò così il processo di romanizzazione, più rapido nella pianura, più lento e contrastato nelle zone montane nelle quali, per sottomettere le fiere popolazioni, si dovette ricorrere a delle vere e proprie spedizioni militari: durante l'impero di Augusto (27 a. C. - 14 d. C.), fu distrutto il "santuario" di Magrè, sostituito dal culto a Diana, praticato nel vicino centro di Pieve: circa un secolo dopo, la Val Leogra fu percorsa dalla strada che partiva dalla via Postumia nei pressi di Vicenza, scendeva per la Vallarsa, innestandosi a Villa Lagarina con la Claudia Augusta, l'importante arteria che percorreva la Valle dell'Adige.

Della presenza romana in queste terre restano numerose tracce, soprattutto a Pievebelvicino, dove furono trovate monete, resti di edifici, una statuetta di Priapo, una coppa in bronzo ed altri oggetti; gli stessi prefissi "Torre" e "Pieve" rivelano l'origine romana dei due centri: nel primo, i Romani avrebbero costruito una torre di guardia e segnalazione, collegata alla vetta del monte Castello e ad altri punti posti in posizione panoramica lungo la valle; il toponimo "Pieve" ci riconduce, invece, alla preminenza religiosa assunta dal luogo in seguito alla diffusione del cristianesimo da parte di San Prosdocimo (V secolo d. C.): qui infatti, secondo la tradizione, sulle ceneri del tempio di Diana, sorse la "Pieve", la chiesa alla quale facevano riferimento tutti gli abitanti della valle e della pianura che la fronteggiava (il territorio del pagus di Ascledum), perché qui risiedevano i preti, venivano amministrati i sacramenti e officiate le cerimonie di culto: "... le antiche genti della Val Leogra, divenute cristiane, trovarono qui il battisterio, l'altare e le tombe", ricorda un'iscrizione posta nel pronao dell'antica chiesa di Pievebelvicino.

In questi secoli, che vedono la disintegrazione dell'Impero Romano e l'occupazione dei suoi territori da parte dei popoli germanici, la Val Leogra, tranne che a Pieve, non conosce ancora insediamenti civili stabili (Torre appare nominata per la prima volta in un documento del 983); è una valle vigra (da cui Vallesvogre, Levogre ed infine Leogra), cioè incolta e selvaggia, percorsa da cacciatori, da pastori transumanti, presidiata da militari in determinati punti strategici, perché la strada che l'attraversa costituisce la più breve via di comunicazione tra la pianura ed il nord.

Nel X secolo, le disastrose ed imprevedibili razzie degli Ungari costringono i vescovi di Vicenza, su concessione del re Berengario, a provvedere alla difesa della popolazione, delle chiese e dei monasteri. Lungo la via romana, che da Vicenza porta alla Val Leogra, sorgono così numerosi castelli e fortificazioni: uno di questi è il castello di Belvicino, costruito sulla collina che si eleva a forma di cono, lambita dal torrente Leogra, che anche nei secoli precedenti era stata utilizzata a scopi militari e per insediamenti civili protetti; ai piedi della collina sorge la chiesa collegata da un cunicolo sotterraneo con gli avamposti del castello.

Passata la bufera degli Ungari, il castello col territorio alla destra del Leogra rimase possesso vescovile fino a tutto il XIII secolo e fu coinvolto nelle lotte tra feudatari ostili (i Maltraverso) e favorevoli (i Da Vivaro) all'autorità ecclesiastica. Vittima illustre di questi contrasti fu il vescovo Pistore, che nel 1200, sotto le mura del castello di Belvicino, mentre tentava di riconquistarlo, fu colpito a morte dalle frecce degli occupanti.

Successivamente, il castello e tutta la Val Leogra seguirono le sorti del territorio vicentino: dopo un periodo di dominio padovano, appartennero agli Scaligeri (1 311-1387), ai Visconti (1 387-1404) per passare infine sotto la Repubblica di Venezia.

Nei primi secoli dopo il mille, profondi mutamenti avevano intanto interessato la valle: dal Tirolo e dalla Baviera erano scesi immigrati (oggi comunemente e forse impropriamente denominati "Cimbri") a popolare questi monti, a disboscare i pendii meno ripidi che potevano essere sfruttati per l'agricoltura. Nel 1497 Enna diventa parrocchia; gli abitanti ottengono così l'autonomia religiosa da Torre, per poter avere preti che parlassero la loro stessa lingua, cioè il tedesco.

La costruzione della roggia e lo sfruttamento delle risorse minerarie presenti in abbondanza sui monti favoriscono il diffondersi di attività artigianali: mulini, magli, fucine. Anche l'antica via di transito della Val Leogra. che collega la pianura veneta con il Trentino, costituisce un importante fattore di sviluppo: oltre a favorire i movimenti migratori provenienti dal mondo germanico e permettere gli scambi commerciali con la pianura veneta, si anima nei secoli delle crociate di pellegrini in viaggio verso Padova e quindi Venezia, porto di imbarco per la Terra Santa. Al risveglio economico e all'incremento della popolazione si accompagna una certa vivacità culturale ed artistica: nel 1478 a Torre è già attiva una stamperia, gestita dal parroco Prè Leonardo Longo; nello stesso periodo, la chiesa di Pieve si arricchisce di affreschi e statue di autori insigni (la Madonna è tradizionalmente attribuita alla scuola di Luca Della Robbia, mentre il Cristo in Pietà è certamente opera di Giorgio Lascaris); due vescovi di Veglia (l'isola di Krk) sono originari di questa terra: Donato da Torre e Natale Righi.

I centri abitati del fondo valle, Valli, Torre e Pieve, si sviluppano e si danno un'autonoma organizzazione comunale. Del comune di Valli ci è pervenuto il testo dello statuto (1487): non è invece noto l'analogo documento relativo a Torre; si sa, tuttavia, che il 20 settembre 1311 homines plebis Belvisini et de Torre (figure della pieve di Belvicino e di Torre) si incontrarono col nobile Marcabruno Da Vivaro, che rivendicava nella Val Leogra possedimenti di origine feudale, ed ottennero il pieno riconoscimento dei loro diritti su un ben determinato territorio. Questo documento sancisce dunque l'autonomia giurisdizionale della comunità di Torre e Belvicino, alla quale l'antico signore feudale riconosce il pieno possesso delle terre. Nonostante questo accordo, le controversie tra il comune ed i suoi antichi signori feudali continuarono ancora per lunghi anni; altre vertenze opposero gli antichi abitanti del comune al confinanti comuni di Schio e soprattutto di Rovegliana; a quest'ultimo, Cangrande Della Scala permise, per opportunità politica, di espandersi sul versante valleogrino del Monte Civillina: il confine, oltrepassata la linea spartiacque, scese fin poco sopra la contrada Manfron. Nonostante lunghe vertenze giudiziarie, che si protrassero per molti anni, il comune di Torre non riuscirà più a correggere questo artificioso andamento del suo confine con i comuni della Valle dell'Agno.

Dopo il mille, anche la nostra valle è dunque interessata dalla rivoluzione politica, economica e sociale, che caratterizza in questo periodo gran parte dell'Italia centro- settentrionale e che determinerà la crisi del mondo feudale e con esso dell'antica organizzazione ecclesiastica pievana: a poco a poco, le cappelle dei villaggi del territorio si rendono autonome dalla chiesa madre di Pieve che, dell'autorità e dei privilegi di un tempo, conserva solo alcune simboliche prerogative: un documento dell'Archivio Vaticano attesta che, tra il 1207 e il 1303, la sede arcipretale viene trasferita da S. Maria di Pieve a S. Pietro di Schio, il più importante centro della zona che, dopo il 1 100, aveva conosciuto un cospicuo incremento della popolazione. Questo trasferimento, che avvenne gradualmente non senza resistenza da parte dei titolari degli antichi privilegi, potrebbe essere stato anche conseguenza di una disastrosa inondazione che nel 1200 devastò il territorio di Pieve, costringendo la popolazione a cercare più sicura dimora a Schio. Alla chiesa di S. Pietro, che dopo il concilio di Trento diventerà sede vicariale, fanno riferimento le altre chiese, precedentemente dipendenti dalla nostra chiesa matrice: Valli, Magrè, Marano, S. Vito, Torre. Nel capoluogo comunale di Torre, alla fine del 1220 esisteva già una chiesa; sarà ricostruita due secoli più avanti e consacrata nel 1505; un'altra ricostruzione ebbe luogo nel secolo XIX e la consacrazione avvenne nel 1895.

La dominazione veneziana segnò per la comunità di Torre l'inizio di un periodo di pace, interrotto per alcuni anni dalla guerra promossa dalla Lega di Cambrai, che vide praticamente tutta Europa coalizzata contro Venezia : i castelli di Pieve e di Schio caddero nel 1509 in mano agli imperiali, per cui la Serenissima Repubblica, una volta ritornata in possesso delle sue fortificazioni, per evitare che di esse potessero nuovamente servirsi potenze nemiche, decise di smantellarle. Il generale veneziano Bartolomeo D'Alviano fece così abbattere nel 1514 il castello di Pieve ed altri esistenti nella zona, quindi il comune di Torre acquistò per 36 ducati la collina sul quale sorgeva.

La storia dei secoli successivi deve ancora essere liberata dalla nebbia che l'avvolge: mancano ricerche d'archivio e studi specifici in grado di ricostruire le vicende che contraddistinguono la vita della comunità: possiamo solo accennare a vicende generali. Il governo veneziano, in lento declino, impegna ogni sua risorsa a contrastare l'avanzata dei Turchi e a protrarre la propria travagliata sopravvivenza con un'accorta politica estera di neutralità; in un secolo che vede il progresso in ogni settore delle regioni settentrionali italiane (il Settecento), la Repubblica non è in grado di attuare iniziative di stimolo alle attività economiche, anche perché queste sarebbero state in contrasto con gli interessi dell'oligarchia dominante. La popolazione era peraltro costantemente impegnata a soddisfare le elementari esigenze primarie, a difendersi da quelle calamità, che scandivano la vita di quei tempi: la scarsità di cibo, fornito da un'avara agricoltura di sussistenza, che dipendeva strettamente dall'andamento climatico; le malattie endemiche, conseguenza della malnutrizione; le periodiche pestilenze (quella "manzoniana" del 1630 farà la sua luttuosa comparsa anche nella Val Leogra). La povertà è aggravata da un fisco sempre più pesante e vorace, col quale lo stato cerca di far fronte all'aumento pauroso del debito pubblico.

Nel 1775 Torre conta 1080 abitanti, mentre Pieve con 235 è ridotta a poco più di una contrada; Enna ne conta 493 e costituisce una comunità unita e combattiva, nella quale è sempre viva l'aspirazione all'autonomia, ora anche dal comune di Torre.

Caduta nel 1797 la Repubblica di Venezia, dopo un rapido passaggio dei Francesi, arrivano gli Austriaci; a testimonianza della loro tradizionale correttezza e della loro capacità di governo, l'archivio comunale di Torre conserva le carte del catasto da loro istituito nel 1844 per rendere più equa l'imposizione fiscale. La vita dei valligiani comunque non migliora di molto: assieme alle ricorrenti carestie, nella prima metà del secolo non sono infrequenti i casi di morte per inedia, mentre non danno tregua malattie come il colera e la pellagra, di fronte alle quali non esiste efficace difesa.

La situazione generale comincerà a cambiare dopo il 1866, anno in cui la valle, con tutto il Veneto, viene annessa al Regno d'Italia: è questo infatti il momento in cui maturano le condizioni politiche ed economiche favorevoli all'industrializzazione della valle. Negli anni '70 a Pieve e a Torre sorgono gli stabilimenti tessili Rossi; si tratta di una vera rivoluzione in ogni aspetto della vita di tutta la Val Leogra, sconvolgendo abitudini, tradizioni, modelli di vita, equilibri di potere consolidatisi nei secoli precedenti: i paesi conoscono uno sviluppo urbanistico senza precedenti, dovuto all'aumento della popolazione che qui si trasferisce; sono rese più agevoli e veloci le comunicazioni con i centri della pianura, con la costruzione dei due ponti sul Leogra e della ferrovia che collega la valle con Schio. 1 contadini diventano operai, attratti dalla sicurezza della paga, garantita dal lavoro in fabbrica, ma non abbandonano l'attività agricola; la fabbrica impone una nuova disciplina, fatta di regole e orari che a poco a poco ci si abitua ad osservare. Il "padrone" delle uniche industrie della valle, da cui dipende il destino di migliaia di famiglie, ha un potere enorme, del quale sia l'autorità amministrativa che quella religiosa devono tenere conto. Gli operai, privi di ogni tutela ed assistenza, agli inizi sono in balìa delle condizioni spesso disumane imposte dalle leggi del mercato; in pochi anni essi diventano consapevoli dei loro diritti, si organizzano, dando vita a cooperative di consumo, a casse mutue, a organizzazioni sindacali. Fino alla Grande Guerra, sono frequenti gli scioperi, le dimostrazioni; la popolazione conosce per la prima volta la contrapposizione tra gruppi di persone aderenti a ideologie diverse e vengono messi in discussione principi ed istituzioni un tempo sacri, come l'autorità e la religione.

Il turritano Domenico Marchioro, per ricordare solo la personalità di maggiore spicco, fu sindacalista socialista, venne eletto deputato nel 1919, si iscrisse poi al Partito Comunista, di cui fu esponente di primo piano a livello nazionale.

Rispetto al periodo precedente le condizioni di vita complessivamente comunque migliorano, in quanto ora tutti dispongono almeno del minimo indispensabile e la presenza dello stato comincia a rendersi percepibile, anche attraverso i servizi offerti al cittadini (istruzione, assistenza sanitaria); molti sono tuttavia quelli che, nel decenni a cavallo tra l'800 ed il '900, inseguono in terre lontane la speranza di una vita più umana e libera, aprendo il lungo e avventuroso ciclo dell'emigrazione.

La Prima Guerra Mondiale costituisce un evento traumatico per gli abitanti dei paesi della vallata, accentuato dal fatto di essere posti a ridosso del fronte: nei tre anni e mezzo di guerra essi conoscono fame, epidemie di tifo e di spagnola, subiscono bombardamenti, si abituano a convivere col rombo del cannone, molti sono costretti ad abbandonare le loro case.

Gli avvenimenti che seguirono (crisi del primo dopoguerra, avvento del fascismo, Seconda Guerra Mondiale, Resistenza e secondo dopoguerra) sono storia di oggi, ancora impregnata di passione: si lasci agli anziani della valle il compito di narrarla, attingendo dalla loro memoria i fatti di cui furono testimoni o protagonisti.


Data ultimo aggiornamento: 04/09/2015
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